Accende mille fiammiferi nella notte
Si brucia il ciuffo e le scarpe rotte.
Brucia un nome scritto su una nave.
Brucia la porta per far cadere la chiave.
È un libro coraggioso, quello di Davide Cortese (Zebù bambino, Terra d’ulivi edizioni, 2021) e coraggioso è l’editore che ha dato alle stampe una sintetica opera (21 poesie brevi), decisamente distante dalla poesia circolante e imperante.
Coraggiosa è la forma poetica: sono componimenti molto brevi, filastrocche, nelle quali spesso (ma non sempre) l’autore fa ricorso a rima baciata o alternata, conferendo giocosità al testo, giocosità che si respira a monte del verso, per il tema trattato.
Zebù (il piccolo diavolo), il Bel-zebù, infatti, se da un lato non nasconde la sua natura e la sua contrapposizione a Dio, dall’altro, data la tenera età, compie le sue innocenti malefatte con un candore che non attiene al male, bensì a qualsiasi bambino, o bestia che attenda la maturità per esplicitare il suo carattere ferino.
Se il termine candore può apparire un ossimoro, accostato a Zebù, ne voglio sottolineare la vicinanza al Candide di Voltaire.
Nel libro di Cortese, infatti, il piccolo Zebù non è oggetto di alcun rimbrotto da parte di un maligno “adulto” e, addirittura, i suoi innocenti svaghi hanno come vittima anche la Vergine e financo Dio; proprio la mancanza di una forza educatrice, o, in questo caso, plasmatrice sulla via del male, mi ricorda Candide.
Sono certo che, se Zebù venisse rimproverato o punito, non ne comprenderebbe la ragion sufficiente.
È un tale selvatico, Zebù, che i gesti narrati sgorgano puri, incontaminati come acqua di fonte, o forse come lava d’un neonato vulcano, e tale condizione di libertà sovrannaturale non può includere lo sviluppo di un super-io, impossibile data l’assenza di un’autorità genitoriale.
Eppure, lo sappiamo, declinando le vicende di Zebù nel mondo terreno, è proprio l’adulto, l’autorità, il modello da cui il bimbo apprende il male fine a sé stesso.
Questa autorità è presente nella crescita del suo coevo Gesù (così è presentato nel libro) le cui intemperanze ne prevedono l’intervento (descritto nei testi apocrifi) e che, forse, benché a risultati alterni, hanno contribuito a rifinire il carattere del Salvatore.
Quando Gesù bambino creò dal fango vivi uccellini, e il figlio dello scriba Anna cercò di eliminare le pozze d’acqua approntate da Gesù per l’impastare, la reazione del giovane figlio di Dio fu fulminante (il Vangelo dell’infanzia di Tommaso, da III, 2):
“Quando Gesù vide ciò che accadeva, sdegnato gli disse: “O cattivo, empio, insensato! Che male ti hanno fatto le fosse e le acque? Tu pure, ecco che ti seccherai come un albero; non metterai né foglie, né radici, né frutto.
Subito quel ragazzo si seccò tutto. Mentre Gesù partì e andò a casa di Giuseppe. I genitori del (ragazzo) rimasto secco lo tolsero via, piangendo la sua tenera età; lo portarono da Giuseppe e lo rimproveravano: “Perché hai un figlio che fa tali cose?”.
E ancora:
“Gesù urtato da un ragazzo. Dopo di ciò camminava per il villaggio, quando un ragazzo, correndo, andò a urtare contro la sua spalla. Gesù, irritato, gli disse: “Non percorrerai tutta la tua strada!”. E subito cadde morto.”
“Giuseppe, chiamato il ragazzo in disparte, lo ammoniva dicendo: “Perché fai tali cose? Costoro ne soffrono, ci odiano e perseguitano”. Gesù rispose: “Io so che queste tue parole non sono tue. Tuttavia starò zitto per te; ma quelli porteranno la loro punizione”. E subito gli accusatori divennero ciechi.”
Dal Vangelo dello pseudo Matteo:
(XXVI): “Dopo il ritorno di Gesù dall’Egitto, mentre era in Galilea, già al principio del quarto anno di età, un giorno di sabato giocava con dei fanciulli presso il letto del Giordano. Gesù, sedutosi, fece sette laghetti di fango, dotò ciascuno di canaletti per mezzo dei quali, a un suo comando, portava acqua dal torrente al lago e di nuovo la riportava. Uno di quei fanciulli, un figlio del diavolo, con animo invidioso, chiuse le imboccature dei canaletti che portavano acque nei laghetti e mandò all’aria quanto aveva fatto Gesù. Allora Gesù gli disse: “Guai a te, figlio di morte, figlio di Satana. Osi tu distruggere quanto io ho compiuto?”. Colui che aveva agito così, subito morì.
Alzarono allora la voce i genitori del morto contro Maria e Giuseppe; dicevano loro: “Vostro figlio ha maledetto il nostro figlio ed è morto”. Giuseppe e Maria si recarono subito da Gesù a causa del tumulto dei genitori del ragazzo e dell’assembramento dei Giudei. Giuseppe disse in segreto a Maria: “Io non oso parlargli. Ammoniscilo tu, dicendogli: perché hai suscitato contro di noi l’odio del popolo, e ci tocca sopportare l’odio molesto della gente?”. Giunta da lui la madre lo pregò dicendo: “Signore mio, che ha fatto mai costui per morire?”. Egli le rispose: “Era degno di morte, avendo mandato all’aria quanto io avevo fatto”.
La madre allora lo pregava, dicendo: “No, Signore mio, perché tutti insorgono contro di noi”. Non volendo rattristare sua madre, con il suo piede destro egli toccò il sedere del morto dicendogli: “Alzati, figlio iniquo. Non sei degno, infatti, di entrare nella pace di mio padre, avendo tu mandato all’aria quanto io avevo fatto”. Allora colui che era morto risuscitò e se ne andò. E Gesù, attraverso un canaletto conduceva, al suo comando, le acque nei laghetti.”.
Davide Cortese, concludendo, ci regala un ritratto d’una forza superiore ma acerba, che non ci ha ancora mostrato l’inclinazione belluina e che si contrappone, nel suo vano baloccarsi da infante, alla figura canonica di Cristo, pur mostrando dei punti di convergenza con la versione apocrifa, quasi avvicinando i due in un tipico rapporto di amicizia e competitività.
La lettura confonde il lettore, mescolando gli innocenti germi del male alla tenerezza suscitata dai bambini, destando il sospetto che, seppur nelle immagini iperboliche, sia questo un dipinto che rappresenti una fase dell’infanzia tutta e dell’apprendere, effetto bene restituito emendando i tratti docili dei cuccioli d’uomo.
I versi, dei quali non posso eccedere nella presentazione data la brevità del libro, centrano pienamente l’obbiettivo.
Incendia la torta del suo compleanno
chiude gli amici nel vecchio capanno.
Scarta da solo i regali avuti.
Brucia il capanno e tanti saluti.
Davide Cortese è nato a Lipari nel 1974 e vive a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Messina. Ha pubblicato le seguenti sillogi: “ES” (Edizioni EDAS), “Babylon Guest House” (Libroitaliano), “Storie del bimbo ciliegia” (Autoproduzione), “ANUDA” (Aletti. In seguito ripubblicato in versione e-book da Edizioni LaRecherche.it), “OSSARIO” (Arduino Sacco Editore), “MADREPERLA” (LietoColle), “Lettere da Eldorado” (Progetto Cultura), “DARKANA” (LietoColle) e “VIENTU” (Poesie in dialetto eoliano – Edizioni Progetto Cultura).
I suoi versi sono inclusi in numerose antologie e riviste cartacee e on-line.
Autore di due raccolte di racconti: “Ikebana degli attimi” (Firenze Libri), “NUOVA OZ” (Escamontage), del romanzo “Tattoo Motel” (Lepisma), della monografia “I MORTICIEDDI – Morti e bambini in un’antica tradizione eoliana” ( Progetto Cultura), della fiaba “Piccolo re di un’isola di pietra pomice” (Progetto Cultura) e di un cortometraggio, “Mahara”, che è stato premiato dal Maestro Ettore Scola alla prima edizione di EOLIE IN VIDEO nel 2004 e all’EscaMontage Film Festival nel 2013. Ha inoltre curato l’antologia-evento “YOUNG POETS * Antologia vivente di giovani poeti”, “GIOIA – Antologia di poeti bambini” (Con fotografie di Dino Ignani. Edizioni Progetto Cultura) e “VOCE DEL VERBO VIVERE – Autobiografie di tredicenni” (Escamontage).