[fonte]
Nei nostri laghi sguazzano, filtrando acqua dolce mista a mestizia industriale, ben tre pesci Persici noti.
Uno, il più pregiato, suo malgrado, Perca fluviatilis, s’è affrancato dall’essere fonte d’ispirazione metaforica e allegorica, immolandosi sulle tavole d’ogni tempo, fuso in un delizioso risotto. Spesso, i ristoranti che deturpano le sponde dei nostri laghi sventolano ammiccanti il vessillo del “risotto al pesce persico”, e punto.
Punto perché, per quanto esposto, questi lo si chiama “Persico”.
Nessun aggettivo s’aggiunge, neppure serve il sostantivo “pesce”, poiché chi vien dalla Persia è Persiano e non Persico e l’omonimo golfo è lontano, ragion per cui non lo si può confondere. Aggiungo che il Persico è endemico; sarebbe grave offesa al pesce farsi confondere da orientaleggianti richiami.
Il Persico, allora, è la miglior rappresentazione di sé; gode dell’immensa fortuna di autodefinirsi per ciò che è, grazie alla delicata massa cellulare confinata fra le squame.
Vorrei, allora, soffermarmi sui restanti due Persici, e forse ce ne sono altri, ma io non li conosco, comunque non sono entrati nel linguaggio comune dell’uomo lacustre.
Il primo è il Persico Sole, che il volgo chiama “gobbetto”, “gubét” in dialetto. Arriva dall’America.
Il secondo è il Persico Trota, il “boccalone”, “bucalùn”. Anch’esso vien dall’altro continente.
Ebbene il Persico Sole, un pesce esteticamente molto bello, dagli sgargianti colori giallo-arancioni, traversato da striature azzurre, con una splendida macchia nera, sporcata di rosso, all’estremità delle branchie, il Persico Sole, dicevo (Lepomis gibbosus) è apprezzato a tavola, ma ricco di robuste resche, per cui da molti snobbato; aggiungo che la sua splendida livrea gli permette, talvolta, di vivacchiare pensionato in acquario.
Questo Persico minore è la gioia dei bambini, educati fin da piccoli alle sevizie ed all’insensibilità, poiché abbocca con estrema facilità; non di rado infatti scorge il luccichio dell’amo nudo e ci si fionda, senza spreco di esca alcuna.
I bimbi, avvezzi ormai alla crudeltà, dapprima gioiscono per le facili prede, poi le torturano in modo disumano, annoiati dal continuo abboccare di queste bestiole.
Insomma, il Persico Sole, povera creatura, abbocca sempre all’amo. Non è smaliziato, non riflette, pochi stimoli ambientali gli risvegliano istinti autoconservativi.
Il Persico Trota, invece, ha aspetto e abitudini ben diverse; più grosso rispetto al Sole, affusolato, con colori metallici e meno accesi, che ben lo celano ad occhi di vittime e nemici, ha una gran bocca, essendo un predatore così vorace da prodursi addirittura in episodi di cannibalismo.
Il Trota, allora, che volgarmente viene chiamato “boccalone”, per pure questioni anatomiche, vanta un nome semanticamente instabile; il boccalone, in dialetto, è infatti diventato il credulone, dalla grande bocca nella quale ci può entrare di tutto: anche gigantesche scempiaggini sono prese per verità, dal boccalone. Quand’ero infante non di rado udivo “Sei un boccalone!”.
Qui l’etimo confonde: pare che sia un toscanismo, che derivi da “bocca”, una grande bocca spalancata, boccalone è anche il bimbo che strilla sguaiato. Potrei ipotizzare, che il Persico Trota s’è guadagnato il nome “boccalone” e non il contrario (è giunto qui nell’ottocento), ma poi il significato si è evoluto nel credulone-boccalone.
Non è chiara la ragione per cui non sia il Persico Sole un boccalone, in quanto abbocca (come descritto) anche all’amo nudo e, se ne deduce, ad ogni tipo di esca e, figurativamente, il poveraccio si beve ogni enorme idiozia.
In luogo di “boccalone” potremmo usar “gobbetto”, per indicare colui al quale ogni stupidaggine pare veritiera, salveremmo così (sia ben chiaro: letterariamente) i gobbi dall’estinzione, ma di questa moria ne tratterò in futuro.
Il Trota, quindi, è più scaltro, la sua cattura richiede un poco più di mestiere, non è “gioco per donne e per bambini”, che la Grande Opera persino accettava, nei lunghi mesi di solo mantenimento della temperatura del Forno.
Il Trota è però assiso sul trono dei coglioni, senza possibilità di abdicazione, a causa dell’accezione popolare del suo nome.
Allora il Persico, quello per antonomasia, di fatto parrebbe più attento. Non lo si descrive come un povero idiota e comunque non ha ispirato metafore poco edificanti.
Sarà forse per il nobile risotto, ma il Persico sembrerebbe d’un grado superiore, più evoluto, tanto da provare scetticismo.
Ce lo vedo che guarda di sbieco un succulento verme che annaspa infilzato, che poi immaginate quant’è complicato per un pesce guardare di sbieco.
Lo immagino che, con un colpo di reni (i pesci hanno i reni, eh!) sfila di fianco al verme traditore, rimuginando un altezzoso “Mh…”…
Nitidamente lo seguo notare una bestia ben più grassa del lombrico, rapida e luccicante, con un’appendice sfarfallante, avventarcisi contro e finire uncinato dallo sleale “cucchiaino”, oppure guizzare spocchioso lontano dall’esca e finire, assieme ai villani suoi consimili d’acqua dolce, nella rete dei pochi superstiti pescatori di lago.
Insomma, il Persico non è il gobbetto, non è un boccalone, è pregiato e snobista, ma finisce disciolto nel risotto.