Surrealistic Toast

Dialogo intercorso fra me ed una giovin barista, Milano 12/10/2011.
Io: Ciao, mi dai una piadina con cotto, brie e maionese e un toast liscio, il tutto da portare via?
Lei: Si!
…Pausa di riflessione…
Lei: …ma in che senso “liscio”?
Io (sfregando il palmo della mano destra sul dorso della sinistra): nel senso che non sia ruvido.

Lei abbozza una risatina e consegna l’ordinazione al piadinaro.

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Il frutto del genio, del nuovo Messia, a prezzo simbolico

Anni fa, di mattina presto, mi fermai dal solito benzinaio.
Questi ha un negozietto (il classico shop dei benzinai) ben fornito. Quella mattina, pagando il pieno di gasolio, notai di fronte a me, sul bancone, un Ipod nano 8G bell’e nuovo, ben confezionato, con un cartello scritto a mano: “Offerta! 12 €!”.
Scorgendo nello sguardo del benzinaio una certa alienazione, gli feci notare l’errore, precisando che, nel mondo oltre i confini del benzinaio, il prezzo ammontava a 150 € circa.
Il benzinaio, palesemente ignaro e comunque testardo, mi ripeté per ben 3 volte che il prezzo era giusto, era in offerta a 12 €. 
La sua triplice risposta rievocava si San Pietro, quando non era ancora Santo, cioé Pietro, ma anche e soprattutto la Zanicchi del celeberrimo programma. Per questo, Zanicchi docet, lo acquistai. Il prezzo era giusto! L’Ipod era veramente nuovo di pacca, scatola vergine, era perfetto!
Quindi io ringrazio questo nuovo Messia, Jobs, che mi dimostrò di incarnare in sé la nuova novella, permettondomi di godere del frutto del suo genio ad un prezzo simbolico.
Per quanto riguarda invece le sue parole, riguardo all’essere affamati e folli, al credere in sé e bla bla bla bla… Beh, mi ci ritrovo (anche per esperienza personale) ma, prima di lui, dovrei ringraziare una milionata di personaggi (Messia compreso) che hanno già detto…
Il problema non è Jobs (un figo che mi ha inventato l’Ipod a 12€), ma la massa informe del popolo, che comprende soltanto ciò che vede.
Beh, poi, ovviamente, ringrazio il benzinaio e la Zanicchi.
Augh.

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Pippa

Pippa in tailleur, Pippa ha la cellulite, Pippa che corre, Pippa che fa acquisti, Pippa che sospira, Pippa che cospira, Pippa che si pasticcia, Pippa che mangia muffin, Pippa che ride, Pippa che invecchia, Pippa che traduce il RgVeda, Pippa che assiste all’eclissi, Pippa che sniffa speed, Pippa che ascolta il progressive della scuola di Canterbury, Pippa che conta le pecore, Pippa che disprezza, Pippa che sbiascica, Pippa che puzza di sudore, Pippa che si accoppia selvaggiamente, Pippa che defeca, Pippa che brucia la torta nel forno, Pippa al concerto di Elton John, Pippa che stucca le pareti, Pippa che riflette, Pippa che si strappa le vesti, Pippa che lascia l’obolo, Pippa ed il suo ex, Pippa che ruba automobili, Pippa che dormicchia al cinema, Pippa che sobilla le masse, Pippa che altera prove genetiche, Pippa che critica la nonna del cognato, Pippa che svalvola, Pippa che dubita, Pippa che respira, Pippa che risolve l’equazione, Pippa che lecca il gelato, Pippa che concima i gerani, Pippa che maledice un Dio qualsiasi, Pippa che nega le sue radici, Pippa che stecca nel coro, Pippa che bramisce alla luna, Pippa che pesca i salmoni, Pippa che installa un’applicazione, Pippa che recita Dante, Pippa che raccoglie fiori, Pippa che mangia termiti, Pippa che beve una birra, Pippa che inciampa, Pippa che fa spallucce, Pippa che regge le sorti del mondo, Pippa che fuma, Pippa che posa per i paparazzi, Pippa che chiude la zip, Pippa che fa immersioni, Pippa che scompatta un archivio, Pippa che chatta, Pippa che rogna, Pippa che fa i gargarismi, Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa Pippa, Pippa che struccata è proprio uno schifo.

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Cautele nei confronti degli Dei

Quando andai (cioè, venni…) a vivere da solo, non comprai la televisione. In effetti, lo ammetto, fa tanto chic in un certo sottobosco d’una certa sinistra, ma, insomma, così scelsi.
Per tre anni, senza televisione, ascoltai molta radio; la ascoltavo molto già da prima. Radio Popolare, Europa Radio, e basta.   In effetti, lo ammetto, fa tanto chic in un certo sottobosco d’una certa sinistra. Poi, i miei genitori, che ad un certo sottobosco preferiscono la praticità, mi regalarono la televisione. Io – non ricordo bene, ora, perché questa scelta – installai una parabolica, ma non feci alcun abbonamento a Sky, forse, allora, Tele+. Non so se questo faccia tanto chic in un certo sottobosco d’una certa sinistra.
Poi, un giorno, all’improvviso, dopo anni, sparì il segnale dei canali RAI e girai per 10.000 canali arabi, in cui, ho notato, si prega tantissimo. Questo non è per nulla chic.
Poi sparirono anche i Mediaset, che guardavo poco, ma sparirono lo stesso, e rimasero solo i canali arabi, dove si prega in modo estenuante.
Questo non ha il benché minimo significato, per me, a meno che non si voglia soffocare nelle solite considerazioni anti-islamiche. Alcuni di loro sono così. Pregano tantissimo, ammazzano con una certa ingordigia, fanno tutto platealmente, insomma. Hanno mostrato, ad esempio, le foto della donna (non ricordo se moglie) del figlio di Gheddafi. E… Beh… Plateale, appunto. 
Tornando a prima, per me non aveva significato, inizialmente. Ho pensato, poi: e se nei canali arabi, in questa lingua a me sconosciuta, si pregasse Dio anche per oscurarmi i canali RAI e Mediaset, in modo da vedere solo quelli arabi e convertirmi? Io non capisco nulla, ma intanto ascolto. Il messaggio penetra, una parte di me coglie (probabilmente attingendo ad un serbatoio di conoscenza universale, di cui ahimè non conosco consciamente la dislocazione), la parte razionale non si accorge della tragedia in atto e… Puf! 
Chiariamo: nulla contro questo Dio o quell’altro, ma per sicurezza adesso uso il digitale terrestre.

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L’ascensore di Pat

C’è un ascensore che vedo tutti i giorni e che saltuariamente uso, il quale emette un “plim-plom” copiato da un brano di Pat Metheny.
Sono troppo sicuro; quando sento questo “plim-plom”, il “plim-plom” che avvisa dell’arrivo dell’ascensore, quando si aprono le porte scorrevoli, io subito ci attacco mentalmente il “plim-plom” successivo, come da spartito del grande Metheny.
Penso che passi da un “plim-plom” in maggiore ad uno in minore…
Il brano dovrebbe essere “Message to a Friend”, tratto da ” Beyond The Missouri Sky”. Disco meraviglioso.
Il problema è che questo maledetto ascensore mi sta imprimendo a fuoco, nella mente, questo brano; da diverso tempo non mi abbandona mai. Sto male. Aiuto…!

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Pigro

Io sono nato a Milano, ho vissuto a Milano fino all’età di 7 anni, poi mi sono trasferito in Brianza.
Questo solo per precisare che non ho votato alle amministrative 2011 per Milano, ma ho la città nel cuore; inoltre ci lavoro ogni giorno. Inutile sottolineare, poi, l’importanza politica di questo voto, ma questo post non riguarda la politica, quindi lascio stare ogni considerazione in merito.
Ho seguito lo spoglio delle schede (ballottaggio) con grande apprensione, e fortissima è stata la gioia quando ho visto che Pisapia stava nettamente vincendo.
Insomma: alle 17.00 l’emozione era tale da sfociare in commozione. Era impossibile per me lavorare; sono andato in Duomo a festeggiare, a scattare qualche foto. Mi scendevano delle lacrime molto salate.
Bello, bellissimo. Un’atmosfera ormai dimenticata: allegria, sorrisi, canti, speranza e soprattutto una purificata aria, che tutti respiravamo.
Bene. Tutta questa sbrodolata è per sottolineare che sono un sfottuto pigro abitudinario, e l’idea di andare in Duomo, per poi arrivare a casa tardi (viaggio in treno), e ritardare tutti gl’infimi gesti di ogni sera (benché ci sia anche l’alimentarsi, fra questi) mi ha fatto sognare (giuro, sognare) la notte prima del ballottaggio, una sonora sconfitta per Pisapia ed io, nel sogno, commentavo fra me e me: “Ottimo, così arrivo a casa presto!”.
Provo un onirico ribrezzo nei miei confronti.

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A petto nudo

Mio padre è, da sempre, un gran consumatore di film western e di guerra.
Da decenni, allora, lo vedo illuminato dalle luci pulsanti della televisione. Ora blu, ora arancione, ora giallastro e rosso, egli è ipnotizzato da spari, esplosioni, urla, imprecazioni e gemiti di morenti.
Forse per questa sua passione, da piccolo, intuii quanto dovesse essere molto più atroce e doloroso ricevere una o più pallottole in pieno petto nudo, piuttosto che ben coperti e riparati almeno da una t-shirt in cotone.
Questo tarlo senza una logica terrestre, negli anni, s’è ben guardato dal bucare il mio cranio, dall’uscire all’aria aperta; non m’ha mai abbandonato.
Ancora oggi, all’improvviso, nei momenti più disparati, m’assale il pensiero di beccarmi una pallottola, che so… in un polmone, anche solo in una spalla, ma rigorosamente a petto nudo.
Oggi m’è capitato mentre facevo colazione.  M’hanno preso… penso il fegato.
Allora ho pensato che – senza alcun dubbio – deve esistere un legame fra il punto che immagino venga colpito ed il mio stato d’animo.
Banalmente: non digerisco una situazione, mi sparano allo stomaco. Mi sento amareggiato: pam! Mi beccano la cistifellea. 
Poi, fortunatamente, mi sono reso conto che una giornata, con questo preludio, non potrebbe che sfociare in un dramma insopportabile, quindi ho cercato di concentrarmi sui biscotti.  

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La tosse di Schiele

Questa mattina sul treno ero seduto davanti a una signora, sui sessanta penso, che vedo spesso in stazione. Piccola, secca e ossuta, sembra un autoritratto di Shiele.
La signora fuma sempre, in continuazione; non è che il fatto mi colpisca, l’ho solo notato, anche perché mi difendo bene in fatto di fumo.
Oggi, in treno, si è messa a tossire: una tosse veramente insolita. Una tosse da magnesium phosphoricum, convulsiva, irrefrenabile, secca, una sorta di “eheheheheheheheheh…”. Cioè, chiudendo gli occhi pareva una risata, ma era tosse. Questa tosse la sento alla mattina, in stazione, da anni, e da anni mi domando chi tossisce in questo modo così curioso, una secchissima tosse-risata, “eheheheheheheheheh!”. Ho chiuso il cerchio.
Quindi, tornando al treno, un tizio al mio fianco s’è alzato la sciarpa fin sopra il naso, a mò di mascherina protettiva, come se la donna fosse affetta da peste polmonare. Io l’ho guardato con un po’ di commiserazione, perché – così, dall’espressione che ha – secondo me quel tizio teme le risate, quanto la tosse.

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La crepa madre


Il progetto del mio primo romanzo è il seguente:
dalle fondamenta della mia casa, lato ovest, si sviluppa una crepa. Impercettibile avanza pian piano, e, salvo qualche raro gemito che ricorda scricchiolii di gusci di noce, silenziosa divide esattamente a metà la casa, poi avanza inesorabile e crea una ferita spaventosa nel pianeta. Come una mela privata di uno spicchio.
Quindi: a parte il dover dividere questa zona del mondo a metà (gli impianti, le strutture, etc..), con tutti i problemi derivanti, tralasciando lo stupore perché il pianeta non si distrugge per “fuoriuscita di nucleo”, bensì si cicatrizza, a parte tutto questo, un giorno capirebbero che è nata a casa mia, proprio qui.
E allora fama, denaro… interviste e copertine (io esprimerei le mie perplessità sulla nascita nel lato ovest, così per introdurre un po’ di pseudoscienza); insomma, una vita che proprio mi metterebbe in difficoltà. Mi distrugge la ribalta. Non mi interessa. 
Penso che il finale sia tragico:  deciderei di suicidarmi lanciandomi nella crepa, ma, mancandomi il coraggio, mi lascerei planare nelle viscere della terra con un parapendio, scomparendo negli sbuffi sulfurei del crepaccio inaudito.
Boh, magari lo scrivo.

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Più dita

Quando arriva il periodo caldo e la città pullula di sandali, allora seduto in metropolitana spesso mi ritrovo a guardare i piedi. A me piacciono i piedi, cioè, intendo esteticamente.
Anche i miei piedi non li trovo niente male; aggiungo che se la mia bellezza globale fosse al pari di quella dei miei piedi, ecco… Forse sarei un semidio, almeno.
Ma, a prescindere da questo: in metropolitana mi capita di perdermi fra le dita (se sono belle) e forse questa deriva mi confonde, perché talvolta di un piede conto 6 dita. Anche sette, mi è capitato una volta.
Questo errore percettivo è fortunatamente effimero, quindi conto al secondo o terzo tentativo – con esattezza – il numero di cinque, ma anche di quattro (anche questo mi è capitato una volta).
L’aspetto della vicenda che mi fa riflettere anche ora, a estate sepolta, è che quando conto un numero di dita superiore a cinque, non mi stupisco di ciò che vedo, ma del fatto che queste persone sfoggino con noncuranza questa proliferazione anomala. Io non reggerei.
Se, invece, ne conto quattro, il pensiero è di pietà, poiché dietro a quel numero penso che si celi una tragedia.
Beh, tutto qui. Queste diverse reazioni di fronte al numero delle dita m’incuriosisce.

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