Di Santi e di cocci

Il giorno in cui i black bloc, a Roma, mandarono in frantumi la statua della Vergine, lassù, nell’Olimpo cristiano, si faticò a tener calma la diretta interessata.
Serpeggiava, comunque, fra tutti il malcontento, perché di simulacri pullulano le strade, siano essi di Sante, anche Vergini, o di Santi vari: vi è Giuseppe o’ falegname, vi è Giorgio che infilza temerario il drago (che è simbolo del peccato umano, ma nessun coglie), vi è Antonio in varie pose, vi è Rita estatica e smilza, Caterina lessata, c’è Santa Grania, Santa Cosma (con Damiano), il Celso, l’Ambrogio, l’Agostino, vi è Giovanni il Battista, il moderno e ruvido San Pio… E così via…
Addirittura c’è un paesucolo in Brianza, figuratevi un po’, in cui c’è un affresco di San Giobbe, raffigurato con le inseparabili larve che gli erodono le carni. Relegato in una corte anonima e un poco diroccata, pare che non sia databile, o che nessuno abbia mai tentato di datarlo.
Insomma, quel che si contesta nelle Sedi Celesti è che – di fatto – non sia esposto al pericolo anche il capo. Che non sia nominabile (chi dice soltanto per testimoniare il falso, altri semplificano allargandone il divieto) poco importa nella corte, PASSI, ma un occhiuto triangolo, che irradia come il sole, è riproducibile, eccome. Forse è più agevole per gli umani, il fabbricar occhiuti triangoli, piuttosto che figure antropomorfe, ma Lui nelle strade non occhieggia, è assiso al trono, tutto preso da disegni universali.
Ammetto che dispiaccia pure a me, quest’assenza Sua, pur non condividendo gl’illogici lamenti dei Santi; non esiste azienda, ente, organizzazione, che esponga il vertice al pericolo o al ridicolo. Non ha senso, sarebbe da stupidi, a meno che non lo si desideri per fini sottaciuti. Certe leggi sono transdimensionali, sono modelli logici e poche storie.
Mi dispiace, quindi, perché se quegl’insetti neri, tutti presi a devastare, avessero frantumato l’effigie di Dio, proprio la sua, l’occhiuto triangolo, allora forse la Sua falce li avrebbe mietuti all’istante, senza riguardi, come l’erba cattiva.

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Il frutto del genio, del nuovo Messia, a prezzo simbolico

Anni fa, di mattina presto, mi fermai dal solito benzinaio.
Questi ha un negozietto (il classico shop dei benzinai) ben fornito. Quella mattina, pagando il pieno di gasolio, notai di fronte a me, sul bancone, un Ipod nano 8G bell’e nuovo, ben confezionato, con un cartello scritto a mano: “Offerta! 12 €!”.
Scorgendo nello sguardo del benzinaio una certa alienazione, gli feci notare l’errore, precisando che, nel mondo oltre i confini del benzinaio, il prezzo ammontava a 150 € circa.
Il benzinaio, palesemente ignaro e comunque testardo, mi ripeté per ben 3 volte che il prezzo era giusto, era in offerta a 12 €. 
La sua triplice risposta rievocava si San Pietro, quando non era ancora Santo, cioé Pietro, ma anche e soprattutto la Zanicchi del celeberrimo programma. Per questo, Zanicchi docet, lo acquistai. Il prezzo era giusto! L’Ipod era veramente nuovo di pacca, scatola vergine, era perfetto!
Quindi io ringrazio questo nuovo Messia, Jobs, che mi dimostrò di incarnare in sé la nuova novella, permettondomi di godere del frutto del suo genio ad un prezzo simbolico.
Per quanto riguarda invece le sue parole, riguardo all’essere affamati e folli, al credere in sé e bla bla bla bla… Beh, mi ci ritrovo (anche per esperienza personale) ma, prima di lui, dovrei ringraziare una milionata di personaggi (Messia compreso) che hanno già detto…
Il problema non è Jobs (un figo che mi ha inventato l’Ipod a 12€), ma la massa informe del popolo, che comprende soltanto ciò che vede.
Beh, poi, ovviamente, ringrazio il benzinaio e la Zanicchi.
Augh.

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La tosse di Schiele

Questa mattina sul treno ero seduto davanti a una signora, sui sessanta penso, che vedo spesso in stazione. Piccola, secca e ossuta, sembra un autoritratto di Shiele.
La signora fuma sempre, in continuazione; non è che il fatto mi colpisca, l’ho solo notato, anche perché mi difendo bene in fatto di fumo.
Oggi, in treno, si è messa a tossire: una tosse veramente insolita. Una tosse da magnesium phosphoricum, convulsiva, irrefrenabile, secca, una sorta di “eheheheheheheheheh…”. Cioè, chiudendo gli occhi pareva una risata, ma era tosse. Questa tosse la sento alla mattina, in stazione, da anni, e da anni mi domando chi tossisce in questo modo così curioso, una secchissima tosse-risata, “eheheheheheheheheh!”. Ho chiuso il cerchio.
Quindi, tornando al treno, un tizio al mio fianco s’è alzato la sciarpa fin sopra il naso, a mò di mascherina protettiva, come se la donna fosse affetta da peste polmonare. Io l’ho guardato con un po’ di commiserazione, perché – così, dall’espressione che ha – secondo me quel tizio teme le risate, quanto la tosse.

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Più dita

Quando arriva il periodo caldo e la città pullula di sandali, allora seduto in metropolitana spesso mi ritrovo a guardare i piedi. A me piacciono i piedi, cioè, intendo esteticamente.
Anche i miei piedi non li trovo niente male; aggiungo che se la mia bellezza globale fosse al pari di quella dei miei piedi, ecco… Forse sarei un semidio, almeno.
Ma, a prescindere da questo: in metropolitana mi capita di perdermi fra le dita (se sono belle) e forse questa deriva mi confonde, perché talvolta di un piede conto 6 dita. Anche sette, mi è capitato una volta.
Questo errore percettivo è fortunatamente effimero, quindi conto al secondo o terzo tentativo – con esattezza – il numero di cinque, ma anche di quattro (anche questo mi è capitato una volta).
L’aspetto della vicenda che mi fa riflettere anche ora, a estate sepolta, è che quando conto un numero di dita superiore a cinque, non mi stupisco di ciò che vedo, ma del fatto che queste persone sfoggino con noncuranza questa proliferazione anomala. Io non reggerei.
Se, invece, ne conto quattro, il pensiero è di pietà, poiché dietro a quel numero penso che si celi una tragedia.
Beh, tutto qui. Queste diverse reazioni di fronte al numero delle dita m’incuriosisce.

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L’intelligenza del Moscone

Allora, questi sono i fatti:

Tizio si sveglia una mattina; sta campeggiando in una pineta in riva al mare.
Esce dalla tenda e un moscone gli ronza subito intorno, pesante e assillante.
Tizio esce dalla tenda per appartarsi ed espletare sacrosanti bisogni corporali.
Tizio (benché sia in una pineta) vaga qualche minuto per trovare un luogo che gli piaccia, che favorisca l’espletamento; il moscone lo segue passo passo, orbitandogli intorno ronzando.
Tizio trova il luogo adatto e si libera, quindi torna alla tenda.
Il moscone raggiante rimane nel luogo prescelto.
Allora mi domando da anni (soltanto oggi trovo il coraggio di chiedere pubblicamente): il moscone è regolato da meccanismi pavloviani, per cui all’umano che esce dalla tenda, seguono bisogni corporali da sfruttare?
Oppure: il moscone, in qualche modo, “sente” la presenza di detti bisogni, ancor prima dell’espletamento?
Boh…. se qualcuno conosce la verità…