tre domande, tre poesie

Grazia Calanna, che ringrazio per la stima che mi dimostra da anni, mi intervista.

“Non credo che la poesia abbia una lingua ideale, piuttosto penso che ogni autore abbia (o debba cercare) la propria lingua ideale, la prima forma, il primo “stampo” che si imprime nella sostanza caotica. La lingua – perdonate la considerazione ovvia – è un concerto di suoni, quindi ogni autore dovrebbe avere un’orchestra con la quale esiste una chiara, netta risonanza, rispetto a tutte le altre orchestre esistenti. Proprio in quanto “concerto di suoni”, la lingua evolve nel tempo. Questa è la ragione per cui il mio linguaggio spesso e volutamente si allontana, a ritroso, dai giorni nostri.
L’inabissarsi di molti vocaboli e la comparsa di altri, la riduzione del vocabolario personale (nonché la diffusione virulenta di anglicismi) ha variato definitivamente i suoni della nostra lingua, oltre ad impoverirla; è per tale ragione che io sono legato a una lingua italiana ormai superata. […]”

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