Su Poetarum Silva, una mia recensione al libro Le cassette di Aznavour di Nicola Grato (Macabor Edizioni, 2020).
“Finis.
sul colle dove c’era la casa diroccata
guardavamo le stelle a prima sera:
il Carro Aldebaran Sirio Orione.
Nella casa di sotto (che poi avremmo venduto)
c’era mia madre sola – annegata nel corpo
disfatto dell’estate, blaterava parole:
una spiga recisa la sua mente di falco
già da tempo la morte le aveva dato scacco.
Apro questa lettura con una poesia, Finis, a p. 15, prima della prima sezione della nuova raccolta di Nicola Grato (Le cassette di Aznavour, Macabor, 2020) perché contiene, a mio avviso, degli elementi centrali della poetica di Nicola, a partire dalla misura.
Quella di Grato è una poesia a verso lungo e raccoglie la lezione italiana dei grandi del 900: profuma di Piccolo (autore oggetto della tesi di laurea di Grato), di Gatto, di Montale, di Luzi, ricorrendo precipuamente a endecasillabo e doppio settenario, producendo un verso che mai manifesta cali di pathos […]”.
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