FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA
poco è chiaro perché
l’acqua non leghi alle stagioni,
onora nessun rito
rugiade e galaverne,
nei borghi che siamo,
paeselli coricati, brevi,
luoghi, lungo il fiume,
minori manzoniani.
I batraci che cantano
alla pozza d’estate,
si credevano impasto
di forma e di fanghi
e d’altri sedimenti
dei frequentissimi avi,
morire per cui, soltanto
risponde all’affondare,
il quiescere nel freddo
si distingue dal risveglio.
Il salce gigantesco,
– all’occhio tuo digiuno,
agguaglia l’eucalipto –
oltre lo stagno è nudo
e troppo dista il fiume;
ripiegò assetato il seme
piuttosto ai fontanili.
Febbrifugo, le polveri
bevo io, ch’entrambi siamo
ai mali dell’umido inclini.
12/2018: la poesia è fra le sei finaliste del Premio Zeno.
Le motivazioni della giuria, che ringrazio di cuore:
Il paesaggio autunnale è dipinto con un’acutezza e un gusto del dettaglio che fanno pensare a un quadro fiammingo del Quattro o Cinquecento. La lingua si pone in controtendenza con qualunque forma di novecentismo: colta e ricercata fino a rischiare l’involuto, puntuta, antimoderna, richiama certi grandi e isolati virtuosi della nostra letteratura ottocentesca, come Carlo Dossi o Igino Ugo Tarchetti. (Sergio Pasquandrea)